Onorevoli Colleghi! - Con la legge 15 febbraio 1996, n. 66, ormai ben dieci fa, è stata approvata la riforma dei reati in materia di violenza sessuale. L'iter legislativo che portò all'approvazione della legge abbracciò l'arco di ben cinque legislature.
Risalgono infatti al 1979 i primi progetti di riforma; in quell'anno diversi partiti presentarono disegni di legge sulla materia (Pci, Psi, Pri), vi fu anche una proposta di legge di iniziativa popolare, presentata il 19 marzo 1980, che raccolse ben 300.000 firme in calce a un documento presentato alla popolazione da movimenti delle donne.
Nel 1987 fu presentato un nuovo disegno di legge, ma anche questo negli anni successivi si arenò nella navetta fra Camera e Senato.
Nel 1995 ben 67 deputate di tutti i gruppi parlamentari presentarono una proposta di legge che poi fu approvata a larghissima maggioranza.
La legge doveva diventare occasione per un rilancio dei temi della donna e delle implicazioni complessive di tutta la normativa vigente in materia di uguaglianza e di pari opportunità fra sessi, per una crescita civile.
Suo obiettivo era la prevenzione, avendo assunto, con coerenza, la libertà sessuale come diritto inviolabile di tutti i cittadini da ogni forma di coercizione del consenso; ma tale effetto generale preventivo, da solo, certamente, non poteva risolvere il problema della violenza nella nostra società, come hanno dimostrato i fatti di cronaca che si sono verificati negli ultimi tempi, in vari luoghi d'Italia.
Ancora una volta, in seguito a questo proliferare del fenomeno della violenza si deve aprire un serrato e franco confronto
1) la modifica dell'articolo 609-bis del codice penale («Violenza sessuale»), in quanto è necessario modificare l'attuale formulazione che richiede il requisito della «costrizione» della vittima ai fini dell'imputazione, in favore di quella basata sulla «mera mancanza di consenso» all'atto sessuale, onde tutelare pienamente il diritto di libertà sessuale. L'articolo 609-bis richiede una condotta coartativa della volontà della vittima, attuata attraverso «violenza o minaccia o mediante abuso di autorità» al compimento dell'atto. E quasi come se il legislatore del tempo avesse previsto una sorta di «onere di resistenza» in capo alla vittima come presupposto dell'accesso alla tutela penale. In effetti la mancata reazione può nascere dal terrore che pervade l'aggredito oppure dalla convinzione che così si evita un male ancora peggiore. Introdurre la «mera mancanza di consenso» ai fini dell'imputazione significa rispondere a nuove esigenze di tutela;
2) l'inasprimento della pena attraverso la previsione, all'interno dell'articolo 609-bis, di ipotesi di ulteriore punibilità. È preferibile introdurre una nuova e ulteriore ipotesi di punibilità che preveda l'aggravamento della pena se dal fatto deriva un ulteriore evento nefasto, piuttosto che aumentare le ipotesi di aggravanti.
Il giudice, una volta accertato che si è in presenza di attenuanti e di aggravanti, dovrà procedere obbligatoriamente alla loro applicazione e al loro bilanciamento, cioè a un giudizio di prevalenza o di equivalenza (articolo 69 del codice penale). Se si ritengono prevalenti le aggravanti, non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le attenuanti e si fa luogo ai soli aumenti di pena sanciti per le prime. Se, viceversa, sono ritenute prevalenti le attenuanti, si applicano soltanto le relative diminuzioni di pena e non si tiene conto delle aggravanti. Se poi si ritiene che aggravanti e attenuanti siano equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna circostanza. Trattasi di un giudizio discrezionale, ma obbligatorio, di valore e non di quantità, ove le circostanze non si contano ma si pesano, onde non può ritenersi decisivo il maggior numero delle aggravanti rispetto alle attenuanti e viceversa.
Occorre procedere a una valutazione unitaria della gravità complessiva del fatto e della capacità di delinquere del soggetto, in base alla quale il giudice può ritenere che una sola attenuante prevalga su più aggravanti e viceversa. Invece, prevedendo un aumento di pena, allorché derivi un ulteriore evento che viene posto a carico dell'agente per il solo fatto di essere stato causato dalla sua condotta criminosa, si eviterebbe il suddetto «bilanciamento»,
danno alla donna in stato di gravidanza;
danno al feto, in maniera diretta o indiretta;
contagio di malattie gravi o gravissime;
gravidanza;
sindrome post traumatica da stress.
Il riferimento «alla donna in stato di gravidanza», aggravante riconosciuta in alcune legislazioni europee, tra cui quella francese, mira anche a sopperire a una grave dimenticanza del legislatore del 1996.
L'evento «danno al feto» e il possibile «contagio» sono previsti per facilitare il lavoro dei magistrati. Infatti, allo stato attuale, nel caso in cui si verificano tali ipotesi il giudice procede, a volte con molta difficoltà, configurando il concorso di reati attingendo al codice penale; così con il tentato omicidio nel caso di contagio o di lesione nel caso del danno al feto.
L'attualità del disturbo post traumatico da stress (DPTS) richiede un riconoscimento esplicito all'interno della normativa in oggetto.
Quando dieci anni fa la legge fu approvata gli studi sul DPTS non erano ancora così approfonditi e soprattutto così ben definiti. Oggi è una sindrome riconosciuta in campo psichiatrico e dunque le va individuato un suo spazio all'interno della normativa per assicurare una piena tutela della vittima;
3) l'introduzione nel nostro codice penale dell'articolo 609-bis.1 relativo a una nuova fattispecie di reato, contenente misure per contrastare il crescente fenomeno delle «molestie assillanti» (stalking) che da recenti studi effettuati possono avere conseguenze letali. Le «molestie assillanti» si caratterizzano per una serie di azioni lesive ripetute nel tempo e dirette verso una specifica persona: seguire, telefonare ostinatamente, inviare lettere, fare regali, recarsi sul posto di lavoro, danneggiare oggetti di proprietà della vittima, appostarsi. Le azioni summenzionate non sono le uniche possibili e possono o meno essere accompagnate da minacce a cui può fare seguito un'aggressione o un omicidio, come le cronache spesso ci dicono. Le nuove disposizioni dovrebbero permettere di contrastare questo fenomeno graduando gli interventi, dapprima con misure dissuasive certe e tangibili, successivamente con misure cautelari e punitive nei confronti dell'autore o degli autori della molestia assillante. Certamente le misure devono essere immediate e pregnanti quando l'autore o gli autori della molestia assillante sono autori di reati di violenza sessuale o simili, ossia sempre nella sfera di reati violenti.
Con riferimento al momento delle indagini, la presente proposta di legge prevede:
1) la creazione di nuclei specializzati presso gli ospedali dotati di pronto soccorso, predisposti per le vittime di violenza sessuale, in funzione ventiquattro ore al giorno, con personale preparato sul piano medico-legale e psicologico. Il nucleo specializzato è formato almeno da uno psicologo e da un ginecologo. Esso accoglie la vittima, la aiuta a superare lo choc e ad affrontare la procedura necessaria per le indagini (visita ginecologica o accertamenti medici, visita medico-legale, raccolta e adeguata conservazione dei reperti), in modo da consentire la denuncia della violenza entro i sei mesi successivi, e ogni altra attività utile. Tali centri sono presenti da tempo in Francia, in Germania e negli Stati Uniti; in Italia ve n'è uno presso la clinica Mangiagalli di Milano, che opera
2) le creazione di un pool specializzato di magistrati per tutti i reati legati alla sfera delle violenze, degli abusi e dei maltrattamenti sessuali, presso le procure della Repubblica, affinché il personale possa acquisire conoscenze approfondite relative al fenomeno dei reati sessuali;
3) la relazione di un albo di avvocati specializzati per la difesa della vittima, con la previsione di fondi vincolati per il patrocinio a spese dello Stato;
4) la modifica, per i delitti di violenza sessuale sui minori, del termine di prescrizione dell'azione penale, che deve iniziare dal giorno in cui la vittima raggiunge la maggiore età. La prescrizione dei reati sessuali su minori in Austria, Germania, Francia, Paesi Bassi, Norvegia e Spagna decorre dal giorno in cui la vittima raggiunge la maggiore età. La common law non prevede termini di prescrizione ed è quindi sempre possibile perseguire penalmente il reato. In Svezia la prescrizione decorre dal giorno in cui la vittima compie quindici anni;
5) previsione di fondi destinati alla creazione dei nuclei specializzati e del pool e volti a favorire programmi di aggiornamento e di formazione professionale adeguati agli scopi previsti dalla presente proposta di legge.